15 Novembre 2019, dalle 17 alle 21
Park Hub, Via Garofalo 31, Milano
In occasione di BookCity 2019 Park Associati organizza nello spazio Park Hub dello studio la presentazione e lettura integrale del libro “NO-FORM, 10 racconti oltre il design”,
di Clino Trini Castelli, a cura di Guido Musante, Edizioni Corraini.
I dieci racconti di NO-FORM, sono la testimonianza della vita e del lavoro di Clino Trini Castelli, protagonista del design italiano fin dagli anni Settanta. Vincitore di due premi Compasso d’Oro, Castelli ha condiviso con Guido Musante, curatore della stesura del libro, i ricordi, i progetti, i viaggi e i rapporti con grandi personaggi del Novecento.
I racconti sono stati letti non-stop da dieci interpreti che si sono alternati al leggio e hanno avuto la libertà di scegliere modi e tempi di intervento: Violetta, Kings, Claudio Marconi, Alessia Parrulli, Martina Simeti, Patrick Tuttofuoco, Carlo A. Sigon, Nicolò, Donatella Bollani, Silvia Sala.
Per l’occasione è stata esposta una selezione delle 31 sedie dalla mostra “Supercolla”, una rivisitazione della sedia Superleggera di Giò Ponti da parte di un gruppo di artisti e designer, tra cui Castelli, messe a disposizione dalla galleria Martina Simeti che ha ospitato la mostra nell’aprile 2019.
di Guido Musante
Un marziano a Bolzano. Così titolava in prima pagina il Park Times del 1 gennaio 2013, facendo corretto riferimento all’astronave sbarcata nella capitale altoatesina in quel rigido inverno mitteleuropeo: realmente un’impresa da marziani realizzare un simile edificio per architetti provenienti da una galassia più a sud. Un’astronave, la nuova sede Salewa progettata da Park e CZA, simile a quelle che navigavano nell’infanzia degli anni Settanta, all’Arcadia di Harlock o alla Magellano di Gundam, che di certo mancava in quel territorio, rivitalizzato una decina di anni prima dalla discesa dal Similaun di un alieno millenario, che avrebbe trasformato il vecchio Museo Civico in una specie di Area 51 aperta al pubblico. Cosa possa entrarci oggi quell’atterraggio con la maratona di lettura del libro-manifesto di un designer in odore di maestria, o con l’esibizione di alcune sedie riparate in piena arbitrarietà da autori attuali (come se l’autorialità originale non fosse stata sufficiente a collocarle ai vertici del mercato e della storia del design); cosa c’entri, proprio non è dato a sapere. La presenza dei dieci racconti di No-form alla book-marathon di Park Associati, e di altrettante Superleggere di “Supercolla” destinate, come oggetti transizionali, ad accompagnare sul palco i volontari alla lettura, in fondo sta all’attività quotidiana del grande studio di progettazione come la discesa di dieci piccoli marziani con le loro astronavi nere di legno in un’oasi terrestre di architettura felice (forse dovevano atterrare a Palermo in Via Sedie Volanti, e non a Milano, dove volano le scope).
Eppure, se mi ricordo bene, fare architettura è tutto sommato anche questo: origliare quello che non c’entra nulla, rimanere insoddisfatti di non si sa cosa e non si sa dove, convinti di essersi dimenticati di un dettaglio fondamentale, da quando si giocava con astronavi giusto un po’ più piccole. E qualche volta è anche provare incoerenza e amarezza, se si osserva troppo intensamente la perfezione di quelle forme che sembrano avere detto già tutto, già da tempo.
E allora si possono anche ascoltare distrattamente dieci racconti come tracce per andarcene da qualche altra parte, e sbirciare i loro lettori come assassini di sogni, e le le sedie che li accompagnano come le armi di un Cluedo giusto un filo più da grandi. Perché la scoperta del vero colpevole non è detto che la facciano sempre gli autori della storia: talvolta, per non dire sempre, la fanno quei personaggi che all’inizio della storia non si sospettava neanche che esistessero, e che poi sembrano conoscere parole, spazi e oggetti anche meglio di chi li ha tracciati.
Quando mi sono laureato, 20 anni fa, ho chiamato la mia Tesi (il progetto di un parcheggio in struttura a Genova): Spazio 1999. Contesto e tempo, in quel momento. Ma quella scelta, un po’ provocatoria rispetto agli standard accademici, era anche il ricordo e il nome di una delle prime serie televisive di fantascienza, che, a chi era cresciuto negli anni Settanta, richiamava inevitabilmente la sagoma fallica e il corpo tensostrutturale dell’astronave Aquila. La sigla TV si concludeva con un’immagine fissa, dove l’Aquila stava atterrando, o forse decollando, a pochi metri dalla Luna: se ne stava stava lì sospesa, come se stesse trattenendo il fiato.